Riflessi d'inchiostro

Il blog di Vincenzo Valenza

Nathan Never n°1: Agente speciale Alfa

Ho deciso di tornare a leggere Nathan Never di cui avevo letto alcuni episodi anni fa; mi sono quindi messo alla ricerca dei numeri precedenti per recuperare l’intera saga e sono riuscito a trovare un collezionista che mi ha venduto oltre 200 numeri, i primi 213 per l’esattezza, delle avventure futuristiche dell’eroe bonelliano mentre gli altri numeri li prenderò direttamente sul sito della Bonelli ma per ora sono a posto; naturalmente continuo a prendere le regolari uscite mensili.

Ma chi è Nathan Never?

Ma chi è Nathan Never? È il personaggio di uno dei fumetti editi dalla Sergio Bonelli Editore e dal lontano 1991 è andato a colmare un vuoto editoriale per la mancanza di una storia e un personaggio della fantascienza. L’albo si ispira evidentemente al film del 1982, Blade Runner riportando su tavole le atmosfere cupe e distopiche del cult interpretato da Harrison Ford.

Agente speciale Alfa

Il primo albo della serie si intitola; Agente speciale Alfa e tratta subito il tema dei robot come si può capire dalla splendida copertina di Claudio Castellini e come dicevamo in precedenza richiama direttamente il tema e le atmosfere di Blade Runner.

City News

Bonelli utilizza un simpatico stratagemma per introdurre al lettore, il tema del fumetto e cioè pubblica un articolo del giornale, dell’universo di Nathan Never; City News. L’articolo in questo primo numero ha per titolo: AL SERVIZIO DEL CITTADINO, Parla Edward reiser, direttore dell’Agenzia Alfa. L’articolo quindi, in questo primo numero viene usato per dare informazioni sull’agenzia.

La scheda tecnica in terza di copertina

Molto interessante anche la scheda tecnica a fine fumetto che spiega il funzionamento di macchine, strumenti e attrezzature usate nelle storie, in questo caso dell’Esoscheletro potenziato MS2, un robot a guida umana adibito al mantenimento dell’ordine pubblico.

La mia opinione

Sono contento di aver preso i fumetti di Nathan Never e il mitico numero 1, per quanto mi riguarda, non delude le aspettative. La storia è buona così come lo sono i disegni. Leggendo il fumetto in questione e l’editoriale di Sergio Bonelli, si comprende come il team di ideatori, scrittori e disegnatori abbiano prodotto un mondo fantascientifico già completo a partire dal primo numero, facendo un grande lavoro di progettazione della saga. Interessante la citazione del protagonista, delle tre leggi della robotica ideate dallo scrittore di fantascienza Isasc Asimov. Certo, nel lontano giugno del 1991, quando uscì la serie, eravamo ancora lontani dal problema dei robot integrati nella nostra società ma oggi non è più così e forse sarebbe opportuno riflettere sulle leggi della robotica, prima che sia troppo tardi.

Prima legge

Un robot non può recare danno agli esseri umani ne permettere che gli esseri umani ricevano danno a causa di un suo mancato intervento.

Seconda legge

Un robot deve obbedire agli ordini degli esseri umani a patto che tali ordini non contrastino con la prima legge.

Terza legge

Un robot deve salvaguardare la propria esistenza purché ciò non contrasti con la prima e la seconda legge.

Albo: Nathan Never
Titolo: Agente speciale Alfa
Uscita: giugno 1991
Editore: Sergio Bonelli Editore
Copertina: Claudio Castellini
Storia: Antonio Serra
Disegni: Claudio Castellini
Ideazione: Medda, Serra & Vigna
Lettering: Francesca Piovella

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Paride Royl e la Lanterna dei Sogni Perduti
in versione stampata o ebook

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Come ti demolisco i 3 principali alibi per non leggere

Foto di 愚木混株 Cdd20 da Pixabay

In Italia effettivamente non si legge molto. Provate a pensare alla cerchia dei vostri parenti, amici, colleghi e conoscenti, quanti di loro leggono abitualmente? Molto pochi. Potrei azzardare un 10% a tenermi largo ma non credo che sia attendibile come percentuale. Se si arriva all’otto percento e veramente tanto grasso che cola. Chi non legge non vuole leggere o non vuole fare un piccolo sforzo per acquisire un’abitudine molto ma molto positiva.

I benefici della lettura

I benefici dati dalla lettura sono molteplici e importantissimi, voglio ricordarne alcuni solo per permettere al lettore di riflettere sull’importanza di tale buona abitudine.

È rilassante, leggere allenta la tensione e ci permette di staccare la spina dalle nostre occupazioni e preoccupazioni quotidiane; in effetti è come fare una piccola meditazione.

Amplia il nostro vocabolario e ci permette di esprimerci meglio, il che è una mano santa visto che stiamo, come società, riducendo i termini d’uso comune, usiamo sempre meno parole e quelle che usiamo, vanno verso un impoverimento del loro stesso significato.

La possibilità di esprimerci meglio condiziona positivamente la nostra capacita di esprimere pensieri complessi. Sì, perché il linguaggio è strettamente connesso alla nostra capacità di pensare. Di fatto, noi pensiamo anche e soprattutto parlando. Il linguaggio contribuisce a migliorare il livello del nostro pensiero e pensando in modo più accurato si arricchisce il linguaggio stesso, instaurando un circolo virtuoso. Ma torniamo al nocciolo della questione, gli alibi per non leggere.

Alibi n°1

Non ho tempo

Molto spesso, parlando con persone che non leggono molto anzi che non leggono affatto, si sentono in dovere di giustificare la “mancanza” dicendo di non avere tempo. Ebbene, io sono sicuro che nella stragrande maggioranza dei casi, il tempo c’è eccome! Semmai il problema è dare priorità ad attività che non meritano più di pochi minuti al giorno come, per esempio, navigare tra i social. In realtà, ve benissimo aggiornare o sbirciare tra le pagine di facebook o twitter ma se continuiamo a farlo solo per ammazzare il tempo, beh allora sarebbe meglio fare altro. Ci sono molti esempi di come si può impiegare meglio il tempo che abbiamo a disposizione. Come dici? Quali? Ti illumino seduta stante; prima di andare a dormire, sarebbe buona abitudine leggere qualche pagina, così possiamo staccare dagli “schermi” e prepararci meglio per la notte oppure, se sei un pendolare, prova a leggere un libro mentre sei in viaggio o ancora, sei in attesa dal dentista, dall’estetista o dal barbiere? Puoi leggere un buon libro mentre aspetti e inoltre, se accompagnate i vostri figli a scuola, li riprendete anche immagino e allora mentre aspettate quei dieci minuti, leggete qualcosa, qualsiasi cosa possa piacervi. Oltre alla scuola, li accompagnate in palestra, a musica, a teatro o in piscina? Perché non approfittare dei tempi morti per leggere un po?

Alibi n°2

Non ho spazio

Un altro alibi molto in voga è, non ho spazio. Ebbene, intanto non vi serve uno spazio enorme per poter sistemare almeno una ventina di libri. Un paio di ripiani larghi una cinquantina di centimetri possono contenere dai quaranta ai sessanta libri, a seconda della grandezza. Per leggere diciamo, cinquanta libri, avrete bisogno, visto che non siete lettori accaniti, di una decina d’anni, perciò con due ripiani o mensole da 50 cm. state a posto per dieci anni. Eh sì, è dopo? Direte voi; dopo, vi rispondo io, se avete spazio, potete aggiungere ripiani o mensole alla vostra libreria altrimenti potete recuperare degli spazi inutilizzati e se non ne avete, potrete semplicemente scambiare i vostri libri con quelli di altri lettori, così risparmiate pure o scambiarli nelle stazioni librarie, cioè quei posti messi a disposizione da esercizi commerciali, dove poter prendere un libro lasciandone un altro ma se proprio ci tenete ad avere con voi tutti i vostri libri, potrete anche decidere di leggere in digitale. Gli e-reader in commercio sono ormai molto performanti e anche se non potrete sfogliare della vera carta, restituiscono un’esperienza di lettura molto simile a quella dei libri cartacei, pensate che potrete leggere in piena luce solare, non affaticano gli occhi come fanno i tablet o i cellulari e possono contenere migliaia di opere, più spazio di così.

Alibi n°3

I libri costano troppo

I libri costano troppo. M è davvero così? Allora, un libro può costare da pochi centesimi a svariate decine di euro salvo casi particolari in cui si superano i cento euro a seconda del libro, se sia digitale o cartaceo, il numero di pagine, la carta utilizzata, la copertina, l’autore ecc. Dire perciò che i libri costano troppo è un pò vago ma teniamoci sul cartaceo medio, diciamo che un libro costa venti euro e cioè meno di un videogioco, per esempio ma vi dirò di più, se fumate, non spendete almeno 20/25 euro a settimana? A settimana… se leggete un libro al mese, spendete 20 euro al mese, un quarto per quanto spendereste in sigarette. Se acquistate un libro al mese spenderete meno, ma molto meno di una colazione al giorno, diciamo un quarto della colazione. Se poi leggete in digitale, ci sono libri dal costo bassissimo, meno di 5 euro, per non parlare dei classici o altri libri a 0 euro. Inoltre esistono ancora le biblioteche comunali che mettono a disposizione cataloghi importanti senza alcun costo, voi vi iscrivete, chiedete in prestito un libro, lo leggete, lo riportate e ne prendete un’altro, non mi sembra affatto male.

Bene, spero di avervi convinto che se volete potete leggere senza problemi, la lettura è davvero per tutti e se avete deciso di farlo, ricordate che non dovete leggere come un forsennato perché c’è il tale tipo che legge 50/100 libri all’anno ma prendetevi il vostro tempo e divertitevi lasciando andare la vostra mente e il vostro cuore fino a giungere lì dove nessuno è mai giunto prima e sì perché ovunque andrete con l’immaginazione ci andrete solo voi, è il vostro viaggio e malgrado possa essere effettuato da tutti, il vostro è solo vostro.

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Fumetti Italiani

Foto di Soraia Sofia Geraldes da Pixabay

Quando si parla di fumetti italiani, inevitabilmente si parla dei fumetti Bonelli. Non importa se sia stato o no il primo a fare fumetti in Italia ma nell’immaginario collettivo è il primo e sicuramente il più importante produttore di fumetti.

Tex

Tex è certamente il personaggio di punta in casa Bonelli e fa un po’ parte di quel gruppo di eroi che seguivo da ragazzino, almeno per quanto riguarda i fumetti di casa nostra. Tex è il simbolo non solo della Sergio Bonelli Editore S.P.A. ma di un’intera generazione e di un modo di vivere che ormai non esiste più. Sì, perché Tex era un eroe del west e a quei tempi, diciamo tra gli anni sessanta e ottanta, il west andava forte, nei fumetti e al cinema, beh a onor del vero, negli anno ottanta al cinema, non più tanto. Poi, oltre a essere un eroe dei fumetti e del west, era anche il simbolo di un divertimento stranissimo, guardare dei disegni con attaccate delle nuvole in cui si possono leggere le parole pronunciate dai personaggi. Un’altra era, eppure ancora si stampano fumetti, non tanti come prima ma si stampano.

Gli altri bonelli

Oltre a Tex, per quanto riguarda i fumetti italiani, leggevo “Il comandante Mark”, “Il piccolo ranger” e il mio preferito, Zagor. Escludendo il coamndante Mark che era ambientato nel 1700, gli altri due erano ambientati nel mondo del far west. Inizialmente, volendo tornare a leggere fumetti (dopo molti anni), ho optato per i manga che mi sembravano molto interessanti, soprattutto perché le storie non sono infinite ma si concludono. Ora però sento il bisogno di tornare a leggere un pò di fumetti classici, italiani, tra quelli che intendo leggere, alcuni ne ho già letti in passato, ci sono Dylan Dog, Martine Mystere e Nathan Never. Dylan Dog e Nathan Never, come dicevo, già li conosco e Martine Mystere, solo di nome. Ma perché tornare a leggere il fumetto italiano e “bonelliano”, quando i manga sono molto più moderni e in linea con il mondo attuale e inoltre hanno, per me, delle indiscusse qualità, come storie che finiscono, gente che muore, cose che cambiano? Essenzialmente per due motivi, il primo sono i disegni, sicuramente sarà un problema mio ma i personaggi dei manga si confondono un pò e questo infastidisce la mia lettura. Il secondo motivo e che mi piace il formato un po’ più grande 16×21, con tavole più “pulite” e un formato simile a quello dei libri, rispetto al classico formato manga 12×18. Queste mie preferenze mi fanno apprezzare maggiormente l’esperienza di lettura dei fumetti, in quanto alle storie mi riservo di parlarne man mano che le letture proseguiranno.

Le sfide del fumetto italiano

Negli anni, i personaggi e gli albi editi da Bonelli, sono diventati tanti, ne cito qualcuno, solo a titolo di esempio:

Mister No, un ex combattente della seconda guerra mondiale che sceglie di allontanarsi dalla civiltà e guidare i turisti nei cieli della giungla amazzonica degli anni cinquanta.

Il cacciatore di killer, Morgan Lost

Dragonero, cacciatore di draghi.

Dampyr, figlio di un vampiro e di una donna umana.

Julia, la criminologa.

Lo sciamano bianco, Magico Vento.

E molti altri ma voglio segnalare un albo molto interessante, Le Storie. Basato su storie e protagonisti sempre diversi.

Una grande ricchezza quindi di storie e personaggi ma penso, e non credo di sbagliarmi di molto, che il fumetto in Italia ma probabilmente anche nel resto del mondo, abbia un problema, anzi più d’uno ma il più importante è la sopravvivenza. In un mondo che viaggia a velocità pazzesche, leggere nuvole d’inchiostro con disegni stampati su carta sembra roba preistorica e probabilmente lo è ma questo non significa che non possa avere un’attrattiva oppure che non possa veicolare valori o del sano divertimento. Sono convinto che se tanti della mia generazione leggono libri, questo è dovuto anche, in buona parte, al mondo del fumetto che ci ha trasmesso l’amore per la lettura poi, la curiosità, la voglia di conoscenza, la passione per l’arte e la crescita sia esteriore che interiore, hanno fatto il resto. Il fumetto è stata la prima lettura di tantissimi ragazzini che in seguito, come me, sono passati alle riviste, ai quotidiani e naturalmente ai nostri tanto amati libri.

La seconda sfida che il fumetto ha davanti, credo che riguardi il modo in cui vengono concepite le storie che devono essere fatte per finire, le persone muoiono e le cose cambiano questo io credo che sia legato a doppio nodo con la sfida precedente. Non bisogna aver paura di non avere più il personaggio, una bella saga scritta, resta scritta, può vendere a diverse generazioni, avremmo inoltre più personaggi e un maggiore appeal tra i giovanissimi.

La terza sfida riguarda l’esigenza di non scimmiottare il mercato d’oltreoceano, non dobbiamo creare storie o saghe fotocopia ma sfruttare il genio e la sregolatezza all’italiana.

Leggete italiano

Oltre ai fumetti Bonelli ci saranno realtà meno note o anche autori autoprodotti che io non conosco ma penso che sia importante leggere italiano. Leggete e leggete italiano; il fumetto può essere molto distensivo e anche molto istruttivo, il livello dei disegnatori oggi è molto alto e le rappresentazioni sono straordinarie. Possiamo contribuire alla rinascita di un’arte fantastica che potrà dare gioia e impulso alle generazioni future. Solleviamo la testa dai telefoni, torniamo a un intrattenimento anche più interiore, integriamo le forme d’arte e di intrattenimento del passato nel nostro arsenale, vastissimo, di giochi e divertimenti. Se avete dei figli, provate a regalargli un “giornaletto”, se si appassionerà contribuirete a formare persone migliori e ve ne saranno grati in eterno. È vero che i fumetti oggi costano molto di più che in passato ma è altrettanto vero che anche tutto il resto costa di più; con l’equivalente di quattro caffè, potete comprare un albo mensile, dieci albi mensili costano quanto un videogioco e se fumate… che ve lo dico a fare.

Un’ultima segnalazione, Bonelli Digital Classic, i fumetti Bonelli in digitale, acquistabili con un abbonamento annuale.

Insomma io voglio tornare a leggere fumetti italiani, sono convinto che vadano sostenuti e penso che potranno essere una risorsa importante e una ricchezza da preservare per le generazioni future e voi cosa ne pensate?

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È solo un gioco

Paride Royl e la Lanterna dei Sogni Perduti

Buona Pasqua a tutti i lettori

Foto di 12019 da Pixabay

La legge di Lidia Poët

“La legge di Lidia Poët”, è una serie tv italiana uscita su Netflix nel 2023 per la regia di Matteo Rovere e Letizia Lamartire. La serie è interpretata da Matilde De Angelis, Eduardo Scarpetta e Pier Luigi Pasino nei ruoli rispettivamente di, Lidia, Jacopo ed Enrico. L’ambientazione è a Torino, negli anni 80 del 1800.

Chi è Lidia Poët?

Ma chi è Lidia Poët? Ebbene, Lidia Poët è stata la prima donna italiana a essere iscritta all’Ordine degli avvocati. Ordine da cui fu estromessa perché all’epoca la legge italiana non ammetteva esplicitamente le donne all’esercizio di determinate funzioni pubbliche. Lidia Poët esercitò comunque la professione come assistente del fratello anch’egli avvocato. Lidia Poët fece ricorso ma non riuscì a vincerlo e fu solo molti anni più tardi che ottenne il giusto riconoscimento e l’ammissione all’ordine grazie a un intervento legislativo specifico che finalmente permetteva alle donne di accedere alle funzioni dei pubblici uffici e quindi all’Ordine degli avvocati e praticare la professione.

Il giallo all’italiana

Sostanzialmente la miniserie è un giallo all’italiana. No, non mi riferisco al cosiddetto giallo all’italiana, cioè quel filone cinematografico in stile giallo-horror ma proprio a un giallo di tipo classico prodotto in Italia (anche se tramite Netflix), con un cast italiano e chiaramente recitato da italiani, cosa di per se né positiva né negativa ma semplicemente diversa dal giallo di tipo anglosassone a cui forse siamo più abituati. C’è poi da dire che l’audio in presa diretta con cui è stata girata la serie, restituisce qualità e sfumature straordinarie.

Una battaglia per i diritti delle donne

Oltre a essere un buon giallo di tipo classico, la serie ci conduce anche nella rivendicazione della protagonista a essere considerata, nel suo lavoro, al pari degli uomini. Ci parla dunque di una battaglia per i diritti delle donne ma più in generale di una battaglia per i diritti umani e lo fa semplicemente e direttamente, senza strafare, senza estremismi.

Controversie

Per la cronaca, ci sono state delle polemiche causate dalla reazione dei discendenti di Lidia Poët per come il personaggio sia stato raccontato nella serie e in particolare si fa riferimento al fatto che la protagonista venga descritta come una persona disinibita e dal linguaggio volgare, in alcuni casi. Per quanto mi riguarda, penso che una storia non debba essere necessariamente fedele alla realtà, l’importante è che sia bella e coinvolgente e se poi aiuta a far pensare e a discutere, va più che bene, in fin di conti perfino la Storia con la esse maiuscola è filtrata dall’occhio di chi la racconta eccetto per alcuni fatti assolutamente inoppugnabili. Da ricordare che la serie è “liberamente ispirata” alla vita di Lidia Poët.

Nel complesso, “La legge di Lidia Poët”, gode di una buona ricostruzione storica, scenografie e costumi di buon livello e una colonna sonora molto azzeccata ed efficace. Come si diceva in precedenza, l’audio in presa diretta, in questo caso è un’arma in più.

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Aristotele a Hollywood

Aristotele a Hollywood è un libro del 2002, scritto da Ari Hiltunen ed edito in Italia da Dino Audino. Parla di come le storie di successo, dall’antichità a oggi, abbiano mantenuto lo stesso schema narrativo, schema insegnato da Aristotele più di duemilatrecento anni fa.

Aristotele

Insomma, Aristotele, il famoso filosofo vissuto nell’antica Grecia di duemilatrecento anni fa, non era solo un filosofo ma molte altre cose. Basti pensare che si è occupato di politica, logica, fisica, metafisica e arte ed è proprio dedicandosi all’arte che redige un trattato, probabilmente a scopo didattico, dedicato alla tragedia.

La Poetica

La “Poetica”, è uno studio sulla nascita e l’evoluzione dell’arte drammatica greca, delle sue origini e di come costruire una struttura narrativa e con quale tipo di personaggi per catturare l’attenzione e l’interesse del pubblico ai fini di procurare loro un piacere derivante dallo svolgersi degli eventi culminanti in un finale risolutivo.

Hollywood?

Ma cosa c’entrano Aristotele e il suo studio sulla tragedia greca con Hollywood? Beh, a quanto pare tutti i film di maggior successo seguono uno schema delineato nella “Poetica” di Aristotele oltre duemila anni fa. Sembra strano ma effettivamente se si cerca di studiare la struttura narrativa dei grandi film di successo, otteniamo sempre, più o meno, la stessa intelaiatura. Cambiano i personaggi, i temi e le storie ma la struttura rimane la stessa, perché è quella che piace maggiormente, quella che ci da il “piacere pertinente” come lo chiama l’autore di questo libro.

Non solo cinema

A rendere ancora più interessante la cosa è che tale struttura di base non riguarderebbe solo il cinema e il teatro ma è adattabile a qualsiasi tipo di racconto come il romanzo o una storia utilizzata per comporre un moderno videogioco. Rappresenterebbe quindi un’importante area di studio per tutti gli scrittori, a prescindere dal mezzo con il quale sceglieranno di raccontare le proprie storie.

Concludendo

Concludendo, è un testo molto bello e dal contenuto estremamente interessante. Molto apprezzabili le analisi dei vari testi come “Edipo re”, di Sofocle, “Giulietta e Romeo”, di Shakespeare e “E.R. medici in prima linea”, la famosa serie tv. Inoltre il testo è parte di una collana che si occupa di narrativa e sceneggiatura, per il cinema, la tv e il teatro, nonché degli elementi costitutivi di tali discipline, come la caratterizzazione del personaggio, i dialoghi, ecc.

Perciò se vi intriga capire come sono state costruite le storie che più avete amato, “Aristotele a Hollywood” è il libro che fa per voi.

Nano, nano e alla prossima

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È solo un gioco

Scrivere bene (o quasi)

“Scrivere bene o quasi”, è un libro del 2011 scritto da Elisabetta Perini per l’editore Giunti.

Di cosa parla

Il libro, come si può intuire, è un manuale il cui intento è quello di aiutarci a scrivere meglio. Spiega in modo semplice ed efficace come risolvere alcuni dei dubbi che ci possono assalire quando scriviamo. Effettivamente le occasioni non mancano. Tutti noi scriviamo nelle chat, sui social media, un semplicissimo bigliettino d’auguri ecc. tutto ciò può far nascere in noi (giustamente), molti dubbi. A tutti questi dubbi, l’autrice da risposte utili e precise o, dove non c’è una regola certa, indica quali siano le soluzioni adeguate per migliorare la nostra scrittura.

Un manuale

“Scrivere bene (o quasi)” è un manuale da tenere sempre a portata di mano per tutti coloro che scrivono spesso ma magari non sono degli esperti. La struttura è la stessa del precedente libro: “Grammatica italiana per tutti” sempre di Elisabetta Perini per l’editore Giunti. Il libro ha un indice completo che permette di trovare senza alcuna difficoltà la parte che interessa con i relativi capitoli e paragrafi. Ogni capitolo è abbinato a un colore diverso, il colore è applicato verticalmente sul lato esterno di ogni pagina che chiaramente ne permette una miglior fruizione da parte del lettore.

Migliorare la propria scrittura

Naturalmente non occorre avere un motivo particolare per voler migliorare la propria scrittura, ma può essere semplicemente un interesse, una passione e perché no? Un Hobby, scrivere solo per se stessi infatti non significa scrivere male ma scrivere al meglio e cercare di migliorare in modo da poter apprezzare il proprio percorso senza doverlo necessariamente condividere o condividendolo con pochi intimi.

Le tante occasioni

C’è poi chi potrebbe voler migliorare la propria scrittura per motivi pratici più o meno importanti, dai dubbi derivanti dai nostri messaggini telefonici alla necessità di scrivere un buon curriculum vitae. E a chi non sono mai venuti dei dubbi scrivendo biglietti d’auguri o inviti per una cerimonia? E sul posto di lavoro? Scrivere note e rapporti può essere la norma di ogni giorno per molti. Insomma c’è sempre un buon motivo per migliorare il proprio modo di scrivere e non importa se non saremo perfetti, piuttosto importa migliorare rispetto a come eravamo, ma questo vale per ogni cosa…

“Scrivere bene (o quasi)” è un libro molto utile e interessante. Elisabetta Perini ci mette davanti agli occhi tutti i dubbi e le curiosità che potremmo avere riguardo a come si scrive un testo qualsiasi, ma è molto di più. Ci porta per mano attraverso i vari stili di scrittura rapportati al testo (formale, informale, creativo, ecc.) che abbiamo bisogno di produrre. La struttura che più si adatta a quel dato testo, la punteggiatura, quando è il caso di essere più precisi e quando invece ci possiamo permettere qualche libertà e davvero, tanto altro. Insomma chi più ne ha, più ne metta e per concludere vi consiglio di leggere questo libro anche perché ha una caratteristica che non guasta affatto: va giù come l’acqua fresca.

Alla prossima e

nano, nano

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È solo un gioco

Joker: film

Joker è un film del 2019 interpretato da Joaquin Phoenix. Il film è basato sul personaggio della DC Comics noto come uno dei più importanti e letali nemici di Batman. Completamente slegato dal genere supereroistico propriamente detto, delinea le origini del personaggio stesso, ovvero come Arthur Fleck si è trasformato nel Joker.

The Joker

Il Joker è forse il nemico più pericoloso e inquietante del cavaliere oscuro ma è anche il personaggio che più di tutti è riuscito a ricavarsi una fama quasi pari a quella di Batman. Ma chi è il Joker? Non è facile rispondere, perché se da un lato si può dire semplicemente che è un folle, psicopatico e sanguinario, dall’altro però non si può non notare che è il prodotto di una società malata. Spesso è così, semplicemente ciò che la crudeltà, falsamente innocua, di parole e comportamenti fuori luogo, alimenta. Perché fosse accettato, il Joker nel film doveva mostrare un lato umano, e non c’è lato più umano di una persona che soffre interiormente ed esteriormente. Quindi lo spessore psicologico del Joker è solo un modo per farci piacere il personaggio? Dal punto di vista della scrittura del film, direi di sì ma nella realtà del mondo, il crimine ha ragione di esistere solo e unicamente se c’è un terreno o forse dovrei dire, una melma fertile che ne permette l’esistenza. Perciò per rispondere alla domanda: chi è il Joker? Possiamo dire che è un folle parto del nostro mondo, certo non l’unico ma sicuramente un degno figlio.

DC Comics

Dopo aver lanciato i propri personaggi nel mondo del cinema, grazie alle nuove tecnologie informatiche che lo hanno reso possibile, la DC Comics come la sua rivale, si trova ora in uno stato di sofferenza. Ormai il pubblico si è abituato a vedere Superman svolazzare tra i grattacieli o Batman con tutti i suoi bat-aggeggi che salta, si catapulta o si appende in ogni dove e quindi sarebbe forse il caso (consiglio non richiesto per la DC) di farci conoscere nuove storie e/o nuovi personaggi.

Joacquin Phoenix

Non conosco benissimo Joaquin Phoenix ma l’ho visto e apprezzato in alcuni film. In “Joker” è perfetto, in questo Joker, naturalmente; perché in altri film in cui non ci fosse il percorso involutivo che rende pregevole questa interpretazione, sarebbe tutto da vedere. Sicuramente anche in tal caso, questo attore sarebbe ineccepibile ma qui da il meglio di se. Meritato l’oscar come miglior attore protagonista.

Batman

In questo film si intravede solo nel finale, il piccolo Bruce Wayne che assiste alla morte dei genitori. Evento che come sappiamo lo porterà a indossare i panni del supereroe mascherato. So che Joaquin Phoenix dovrebbe tornare a interpretare di nuovo il Joker ma sembra che l’ambientazione sarà nel manicomio criminale di Arkam quindi precedente alla storia raccontata in questo film ma sarebbe molto interessante un incontro col Batman adulto seguendo però lo stesso taglio artistico-narrativo del Joker 2019.

In conclusione, questo film mi è piaciuto moltissimo. È un vero capolavoro con un grande Joaquin Phoenix. Anche se non è un film sui supereroi, è uno dei migliori film d’ambientazione supereroistica insieme a “Watchmen” e “Lo chiamavano Jeeg robot”. Sicuramente il miglior Joker di sempre anche se, lo ripeto, non può essere considerato al pari degli altri film di supereroi ma lasciatemelo dire, ci voleva proprio.

Ah, dimenticavo, niente male Robert De Niro nei panni del comico Murray Franklin. E che te lo dico a fare…

nano, nano

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Riflessi d’inchiostro augura a tutti i lettori, un Buon Natale.

Foto di Clker-Free-Vector-Images da Pixabay

Grammatica italiana per tutti

Grammatica italiana per tutti

“Grammatica italiana per tutti”, è un libro del 2009, scritto dalla bravissima Elisabetta Perini e pubblicato dall’editore Giunti. L’autrice è una linguista esperta in dialettologia e specializzata in lingua ladina. Il libro è pensato per essere un testo di facile consultazione, da tenere sempre a portata di mano; L’indice permette infatti al lettore di trovare immediatamente la pagina con l’argomento che lo interessa così da chiarire ogni, eventuale dubbio. come viene specificato sulla copertina, si parla di regole, spiegazioni, eccezioni, esempi e infine l’autrice propone un test per potersi mettere alla prova e verificare il livello delle proprie competenze linguistiche. Non manca un elenco dei “mostri sacri” della grammatica italiana, indispensabili per approfondire l’argomento. Simpatica e utile inoltre l’idea di colorare le pagine in funzione dei cinque macro-argomenti: Lettere e Suoni, Morfologia, Sintassi della frase semplice, Sintassi della frase complessa e Formazione delle parole.

Grammatica per tutti

Se state scrivendo un messaggino alla vostra ragazza o al vostro ragazzo, se dovete scrivere il vostro curriculum vitae, una tesina, un articolo per il vostro blog, un biglietto d’auguri o una formula magica e vi vengono forti dubbi sulla correttezza delle vostre frasi, potete tranquillamente appoggiarvi a questo bel libro. Sì, perché se è vero che oggi si scrive di meno, a mano, è altrettanto vero che si scrive moltissimo per il tramite delle nostre moderne diavolerie come il telefono o il computer ed è altrettanto vero che la qualità della nostra scrittura è decisamente in declino. Non so voi ma a me capita spesso di leggere articoli di giornali online ma anche titoli o sottotitoli di notizie trasmesse dalle reti televisive, con evidenti errori di “battitura”, niente di male, sicuramente sono causati dalla necessità di essere sempre sul pezzo e magari si predilige la quantità alla qualità ma il rischio di passare dall’errore “stupido” all’errore per mancanza di conoscenza, potrebbe essere un passo alquanto breve perché comunque, è il caso di ricordarlo, quegli articoli poco curati, qualcuno li legge.

Esprimersi meglio per pensare meglio

Non occorre approcciarsi a questo libro per diventare dei geni della grammatica, errori ne faremo sempre ma possiamo comunque migliorarci e riuscire a comunicare meglio in molti ambiti della vita di tutti giorni sia per motivi di studio che per motivi professionali, senza tralasciare lo svago e il divertimento. In ogni caso, la comunicazione è fondamentale, la vita sociale stessa, dipende dalle capacità comunicative dei propri membri. Inoltre il proprio avanzamento cognitivo e intellettuale trarrà enormi vantaggi se impareremo a esprimerci al nostro meglio, perché parlare e scrivere, avendo una buona padronanza della lingua, ci permette di avere un pensiero più ricco, efficace ed efficiente. Se poi ciò non bastasse, pensate a quanto è importante la capacità di capire e di farsi capire nel mondo delle relazioni… e scusate se è poco.

Un mondo affascinante e dinamico

L’italiano è una lingua molto complessa, piena di regole, prassi ed eccezioni, con delle differenze tra lo scritto e il parlato per non parlare poi degli influssi dialettali di cui Elisabetta Perini è esperta. Alla luce di quanto detto, tuffarsi in questo bel libro sulla grammatica italiana è veramente un’avventura intensa e affascinante.

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Reminiscence

E se potessimo rivivere il nostro passato, i giorni più felici della nostra vita, con le persone che più abbiamo amato e che ci hanno lasciato?

Il film

In una Miami invasa dall’acqua, il gestore di un’apparecchiatura in grado di far rivivere alle persone il proprio passato, si innamora di una donna che nasconde un segreto. Questo è il tema del film che inizialmente non convince e addirittura annoia, ma che poi, inaspettatamente, prende “vita”, e lo fa dal momento in cui il protagonista dimostra di amare veramente la donna che l’ha stregato e che è disposto a fare qualsiasi cosa per scoprire ciò che la tormenta.

Hugh Jackman

L’attore australiano diventato famoso per la sua interpretazione di Wolverine nei film Marvel dedicati agli x-men da una buona prova ma non convince fino in fondo. Certo non si può dire che non sia un attore eclettico ma mi sembra che generalmente giochi a interpretare il divo, fatta eccezione per il film: The prestige, di Cristopher Nolan.

Vivere nel passato o vivere nel futuro

Non siamo più in grado di immaginare un futuro migliore; questo secondo me è il motivo che ci spinge a ricordare con nostalgia un passato che non potrà tornare e che sentiamo di aver perso anche nel nostro cuore. Reminescence ci mostra un mondo arrivato al capolinea è dunque normale immaginare di rifugiarsi in un passato certo e felice. Questo mi ricorda un episodio della serie originale di Star Trek in cui, su un pianeta che sta per distruggersi o essere distrutto, gli abitanti si salvano grazie ad un portale temporale che li riporta in un passato dello stesso pianeta, a loro scelta.

Qui e ora

L’attitudine a vivere fuori dal nostro tempo reale sembra essere anche una fonte di stress nonché una piaga sociale. Ormai siamo incapaci di vivere nel momento presente, dico ormai perché il progresso tecnologico probabilmente non ci ha facilitato la vita in questo senso, a causa delle continue distrazioni di tv, radio, telefono, pc, ecc. Recuperare la capacità di vivere nel momento presente potrebbe aiutarci a vivere con maggiore serenità in questo nostro mondo barbarico e caotico.

In fin dei conti, Reminescence è un film più che godibile, è divertente e lascia pensare, offrendo spunti sul tema portante del film e cioè il ricordo e più in particolare il ricordo di un momento più felice di quello attuale ma anche sulle relazioni umane, l’amore e il rapporto con la fine e quindi, la morte.

Se anche voi amate viaggiare in un tempo e in un luogo in cui siete già stati, forse potrete apprezzare “Reminescence”.

nano, nano

L’uomo invisibile: film 2020

Era proprio necessario un altro film sull’uomo invisibile? Sicuramente no! Ma il film non è da buttare, della serie: L’uomo Invisibile è sempre L’uomo Invisibile.

Il romanzo

L’uomo invisibile (The invisible man) è un romanzo del 1897 di H.G.Wells, uno dei padri della moderna fantascienza insieme a Jules Verne. La prima trasposizione cinematografica risale al 1933, seguita da molti altri film e serie tv; in effetti il mondo di celluloide tracima di ritorni e vendette di uomini e donne invisibili, ragazzi, mamme, papà e aggiungete qualsiasi cosa e probabilmente troverete un adattamento ad hoc. Questo per dire che il romanzo di Wells ha avuto un impatto enorme nel mondo del fantastico anche se, a dire il vero, il mito dell’invisibilità è un tema vecchio come il cucco, basti pensare che è presente nelle fiabe e nei miti dell’antichità. Il merito di Wells però sta nel fatto di averlo modernizzato.

H.G. Wells

Come si diceva precedentemente, Herbert George Wells è stato uno dei padri della fantascienza moderna, sicuramente molti ne riconosceranno il nome ma quasi tutti avranno sentito parlare almeno una volta nella vita di film come: L’uomo invisibile, La macchina del tempo, La guerra dei mondi e L’isola del Dottor Moerau. Questi quattro famosissimi film sono tutti adattamenti dei romanzi di Wells e ancora oggi esercitano un discreto fascino. Ecco mi sembrava interessante far notare la grandezza inventiva e mediatica raggiunta da questo scrittore vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo.

Il film

E ora veniamo al film; all’inizio non mi ispirava grande fiducia ma, man mano che si svolgeva la trama, ha incominciato a piacermi. Cè voluto un po’ ma alla fine l’ho trovato davvero sorprendente o come si suol dire, una piacevole sorpresa. Il punto di vista è quello della compagna di Griffin (l’uomo invisibile) che fugge perché stanca della relazione in cui si è incastrata a causa del carattere violento e manipolatorio dello scienziato che vuole vendicarsi della donna per essere stato lasciato. Griffin, lo scienziato che lavora sull’invisibilità, è un vero genio ma è anche un folle e questo ricalca esattamente il tipo di personaggio delineato da Wells. La protagonista invece, Cecilia, è letteralmente terrorizzata dal fatto che possa essere rintracciata dal suo ex e fa bene ad aver paura, tutto ciò fino a quando non le giunge la notizia che Adrian Griffin è morto. Questo per lei significa che non dovrà avere più paura perché il suo persecutore o presunto tale non potrà più farle del male.

Le prime sequenze

Le prime sequenze non attraggono molto, sono abbastanza piatte e forse una parte introduttiva sarebbe stata ottima, ma è anche vero che serve a costruire la storia che sarà incentrata sull’aspetto psicologico della fuggitiva. Questa cosa da all’attrice anche la possibilità di fare una buonissima prova da interprete e, tra l’altro, ha vinto il Saturn Award come attrice proprio per questo film. Per chi non lo sapesse, il Saturn Award è una specie di Oscar della fantascienza.

Un’occasione persa

Oltre all’incipit un po’ debole, secondo me si poteva trattare in maniera più approfondita la fase in cui Cecilia, dopo essere scappata da Griffin, si sente perseguitata. I modi per farlo ce ne sarebbero stati, dall’approfondimento delle turbe psichiche causate dall’uomo con cui stava, fino ai ricordi che l’hanno portata a vivere quell’esperienza, a come avesse fatto a non capire che quell’uomo era sì un genio ma folle e privo sia di scrupoli che di freni inibitori. Certo, il film è già lunghetto (120min.), ma forse in questo caso poteva valere la pena svilupparlo ulteriormente.

Il tema della violenza sulle donne

Come non riconoscere poi nella pellicola, il tema purtroppo tristemente attuale della violenza sulle donne. Sì, perché nel film, a mio avviso, ciò che spaventa maggiormente non è l’uomo invisibile ma la violenza mentale esercitata sulla donna, una forza anch’essa invisibile ma dagli effetti terribili. Ma Cecilia fa qualcosa di più che la semplice vittima, lei non ci sta e si mette alle spalle la storia che l’ha colpita nel profondo dell’anima, lei troverà la forza per andare avanti e superare le difficoltà enormi che incontrerà spingendosi ai limiti delle possibilità umane sia fisiche che mentali.

L’invisibilità

Qualche considerazione sul tema dell’invisibiltà. In passato, tanto tempo fa, si immaginava, anzi si credeva che esistessero esseri e mondi assolutamente reali ma invisibili, angeli e demoni o elfi; che si potesse diventare invisibili per il tramite della magia, con degli incantesimi. Successivamente, con il progresso scientifico e tecnologico, si immaginava di trovare una formula chimica, un meccanismo in grado di piegare la luce o grazie a poteri causati da agenti sconosciuti. Ebbene oggi ci sono molti studi che riguardano la luce e le possibilità di occultare un oggetto. Siamo ben lontani dall’ottenere un mantello invisibile ma potrebbe non essere impossibile, intanto l’unico oggetto realmente invisibile, ai radar, è un aereo Stealth.

Breve carrellata di personaggi o cose invisibili

In Star Trek i Klingon possiedono astronavi in grado di rendersi invisibili.

In una serie degli anni 70, Gemini Man, un agente segreto esposto a radiazioni acquisisce il potere dell’invisibilità. Il processo viene invertito ma tramite un orologio può tornare invisibile per soli 15 minuti alla volta altrimenti torna invisibile per sempre.

Nei romanzi di Tolkien, l’anello custodito da Bilbo prima e da Frodo poi, rende invisibile chi lo indossa.

In Harry Potter il mantello dell’invisibilità è in grado di occultare il coraggioso maghetto.

Nei Fantastici 4, della Marvel, la ragazza invisibile può rendersi invisibile a piacimento.

Nel film della Disney del 1977, “Pete’s Dragon”, un ragazzino di nome Peter ha per amico un drago che può diventare invisibile. Titolo italiano, Elliot, il drago invisibile.

Wonder Woman, la super-eroina della DC Comic volava su un jet invisibile.

Nei cartoni animati della Warner Bros, i protagonisti spesso usavano una vernice invisibile.

Nel 2014, il regista Gabriele Salvatores ha diretto: “Il ragazzo invisibile”.

Nella mitologia greca, Ade, il signore degli inferi, riceve in dono un elmo che lo rende invisibile.

Insomma

Alla fine, questo film ve lo straconsiglio perché è un film bellissimo, pieno di spunti interessanti, a cominciare dalla psicologia dei personaggi, la scelta, assolutamente al passo coi tempi, del metodo scelto per produrre l’invisibilità, l’inizio del film che non permette bene di capire dove si voglia andare a parare e infine, è il caso di dirlo, un paio di colpetti di scena niente male.

Bene, buona visione (ora che ci penso è veramente strano dire di guardare l’uomo invisibile) e alla prossima,

nano, nano.

Morbius: il film

A me piace andarci piano, girarci intorno, fare melina, insomma non vado dritto al sodo per cui non dirò che malgrado le critiche non lusinghiere al film, a me è piaciuto, tiè.

Il film

Morbius è un film americano del 2022, diretto da Daniel Espinosa e interpretato da Jared Leto e Matt Smith. Il personaggio è tratto dall’universo Marvel ed era uno dei nemici di Spider-Man. Michael Morbius è un biochimico affetto da una rara malattia del sangue. Il suo scopo nella vita è quello di trovare una cura per la malattia che affligge anche il suo caro amico d’infanzia Lucien. Per farlo studia le caratteristiche geniche dei pipistrelli vampiri dai quali estrae una sequenza per modificare il proprio DNA e guarire. L’esperimento riuscirà ma lo trasformerà in un vampiro.

Jared Leto

Jared Leto oltre ad essere un bravissimo attore è anche un musicista e in “Morbius” è anche produttore esecutivo. Ha recitato tra gli altri, in La sottile linea rossa, Fight club, Ragazze interrotte, Panic room, Suicide squad, Blade runner 2049. Ha vinto l’oscar come miglior attore non protagonista nel 2014 per Dallas buyers club e il Razzie Award come peggior attore protagonista proprio per Morbius.

Morbius

Morbius nasce come antagonista di Spider-Man il suo carattere è aggressivo ma la sua mente è quella di un genio. Questo ne fa sicuramente un personaggio interessante ma secondo me, rappresenta particolarmente un tipo di “cattivo” che ormai va molto in voga e cioè il cattivo che non è mai completamente cattivo al quale fa da contraltare il buono che non è mai completamente buono. In una situazione del genere, si ottengono storie e approfondimenti interessanti ma la proposta dell’eroe al pubblico, così come del nemico giurato, diventa una contaminazione di personalità non più riconoscibili e dove tutto è permesso, tutto è scusato, dove le regole e le norme sociali non contano più. Morbius sviluppa un’incredibile ossessione per la cura della malattia sua e del suo amico, riuscendo a trovare un percorso che lo porterà a inventare un sangue artificiale che donerà speranze e possibilità a moltissimi malati nel mondo; non sarebbe già questo bastato per dare un valore inestimabile alla propria vita? La risposta dovrebbe essere un sì netto eppure non è considerato dal dottore come un motivo sufficiente. La sua ossessione lo porterà a correre rischi normalmente inaccettabili, tutto ciò fa di lui un vampiro e un assassino ma non accetta completamente il suo ruolo. Il suo avversario nel film, il suo amico, invece, lo abbraccia senza riserve. Ma quale sarà la differenza tra un cattivo spietato e un cattivo incompreso? Per la Marvel Comics, l’innesto di Morbius nel proprio Pantheon di eroi e antieroi è stata una necessità di marketing oltre che un’opportunità di arricchimento delle trame, ma non possiamo non notare come nell’arco degli anni, ci sia stato uno spostamento, non solo per la Marvel, dai classici cavalieri senza macchia e senza paura a cavalieri più o meno oscuri.

Il peggior film della Marvel?

Il film mi sembra che si sia difeso bene al box office mondiale ma l’accoglienza della critica non è stata altrettanto buona. La maggior parte delle persone (tra quelle che conosco) che l’hanno visto dicono che non sia un gran che; se ci si fa un giro in rete, si parla spesso di “peggior film Marvel” ma personalmente non sono d’accordo. Il film chiaramente non è un capolavoro ma dalla Marvel sono arrivati film assai più brutti, se poi consideriamo il fatto che la qualità media dei film sui supereroi è piuttosto bassa, beh forse Morbius non è poi così male.

In definitiva se siete riusciti a vedere il primo Hulk e l’ultimo Thor, vedere Morbius vi rimetterà al mondo. Alla prossima e non dimenticate di portare una testa d’aglio in saccoccia anche se con Morbius… non funziona.

nano, nano

Star Trek Picard: serie tv

Sono stato e sono un grande fan di Star Trek, la serie originale; ho visto comunque diversi episodi di Star Trek The Next Generation e praticamente tutti i film della serie.

La reunion

Inutile dire che i miei personaggi preferiti e il mio immaginario personale sono legati alla serie classica e ai relativi personaggi come il capitano Kirk, il vulcaniano Spock e a tutti gli altri; mi sono accostato quindi a questa serie con interesse ma relativamente poco coinvolgimento. Dico ciò perché la mia personale impressione è che Star Trek Picard sia una specie di reunion quindi dedicata in particolar modo ai fan della serie, Star Trek The Next Generation che ovviamente, negli anni, hanno apprezzato i personaggi della serie con Jan-Luc Picard in testa.

Una trilogia

Star Trek Picard è una serie in tre stagioni(per ora) e secondo me dovrebbe essere considerata una specie di trilogia il cui senso si estrinseca necessariamente al completamento delle tre stagioni. Il telefilm è perfetto dal punto di vista tecnico e per quel che riguarda gli effetti speciali, come ci si può chiaramente aspettare. Le storie non sono male ma secondo me stentano un pochino a decollare anzi stenta un pochino soprattutto la prima stagione che ho trovato un pò troppo lenta nei primissimi episodi. Quindi, se prendiamo in esame le tre stagioni separatamente, il risultato non è eccezionale ma se prendiamo in considerazione l’intera “trilogia” beh, è tutt’altro conto. Alla fine risulta interessante, ben congegnato e può trovare tranquillamente posto nella fase finale dell’era Next Generation.

Una considerazione

Nel complesso Star Trek Picard mi è piaciuto ma non posso non notare che in questa serie si tende a un’eccessiva personalizzazione attraverso il “culto” del capitano Jan-Luc Picard. In generale, nonostante io sia particolarmente legato alle storie originali, non amo prolungare eccessivamente, e senza un vera e propria necessità narrativa, la vita dei personaggi che hanno dato lustro alle mille avventure in cui ci hanno condotto, per questo motivo considero conclusa l’era del capitano Kirk. In effetti, se proprio ce ne fosse stato il bisogno, avrei preferito una serie successiva all’Enterprise di Picard. Uno Star Trek molto avanti nel futuro sarebbe stata una interessantissima sfida narrativa.

In conclusione, se vi piace Star Trek Next Generation, non potrete non apprezzare il ritorno di Picard e company in una serie di non facile impatto, a tratti piuttosto lenta e macchinosa ma nell’insieme, certamente godibile.

Lunga vita e prosperità

La Stranezza

La stranezza è un film del 2022, diretto da Roberto Andò con Toni Servillo, Salvo Ficarra e Valentino Picone. Ma questo si capisce perfettamente dalla locandina (tranne la data), quello che non si capisce, a meno che non lo si veda, è che si tratta di un vero capolavoro. Opinione personalissima ma credo che possa essere condivisa da molti. Scusate ma io lo dovevo dire subito, non posso scrivere righe su righe per poi dire cosa penso.

Di cosa parla

Siamo agli inizi degli anni 20 del ventesimo secolo e Luigi Pirandello fa ritorno in Sicilia per portare i suoi auguri e saluti a Giovanni Verga per il suo compleanno ma scopre con dolore della morte della sua ex balia. A questo punto, decide di organizzarne, a sue spese, il funerale; entra così in contatto con i due titolari dell’agenzia funebre incaricata che nel tempo libero organizzano e mettono in scena degli spettacoli teatrali. Inizialmente non riconoscono Luigi Pirandello ma quando lo vengono a sapere vorrebbero invitarlo alla prima del loro spettacolo; in realtà poi non lo fanno ma Pirandello decide di andare all’evento senza farsi notare troppo. Sarà proprio guardando lo spettacolo che Pirandello trarrà ispirazione per un suo capolavoro.

Toni Servillo/Luigi Pirandello

Ci sta tutto, Toni Servillo nei pani di Luigi Pirandello; e come poteva essere altrimenti? In realtà, per un attore come Servillo, l’interpretazione di Luigi Pirandello è un gioco da ragazzi ma a volte bisogna saper dosare le proprie capacità in funzione del lavoro che occorre svolgere e anche in questo, per me, Toni Servillo è un maestro.

Ficarra e Picone, una vera rivelazione

Okay, non li conosco veramente bene lo ammetto e ammetto anche che l’immagine che ho di loro è legata al loro lavoro televisivo come coppia comica, insomma li vedo e penso a Zelig. Tra l’altro, faccio fatica a ricordare chi sia Ficarra e chi Picone e questo è un bene per un duo comico. Detto ciò, devo dire che sono stati bravissimi, la loro è stata una prova di alto livello ed è un piacere starli a guardare, sperando che continuino su questa strada.

Cosa mi è piaciuto

Cosa mi è piaciuto? Tutto, praticamente tutto, la recitazione, le inquadrature, le atmosfere, la regia e l’idea di far conoscere il genio assoluto, e non solo artistico, di Luigi Pirandello.

“Chi ha la ventura di nascere personaggio vivo, può ridersi anche della morte. Non muore più… Chi era Sancho Panza? Chi era don Abbondio? Eppure vivono eterni, perché – vivi germi – ebbero la ventura di trovare una matrice feconda, una fantasia che li seppe allevare e nutrire, far vivere per l’eternità.”

Luigi Pirandello da “La stranezza” e “Sei personaggi in cerca d’autore.”

Da consigliare se

Vi piace il teatro e il cinema ben recitati, se vi piacciono i film molto ben curati, lenti e piuttosto cerebrali ma soprattutto se cercate l’arte oltre lo spettacolo e il senso di quel qualcosa che permea il mondo e che si riesce ad afferrare solo in alcuni, particolari, frangenti della vita.

In definitiva, “La stranezza”, è uno di quei film che rendono il cinema, arte.

Alla prossima e

nano, nano

Manifest: serie tv

Manifest è una serie tv realizzata in quattro stagioni tra il 2018 e il 2023. L’idea di base è semplice ma molto intrigante: un aereo passeggeri di ritorno dalla Giamaica con destinazione New York, scompare per 5 anni, quando riappare atterrando all’aeroporto della grande mela, per i passeggeri sono passate solo 5 ore ma per il resto del mondo, non è così.

La serie

Inutile dirlo, ormai la maggior parte delle serie tv americane sono tecnicamente perfette e questa non fa eccezione, beh più o meno, diciamo che è quasi perfetta. Il cast è di prim’ordine, a giudicare dal lavoro svolto sul set. Non mancano però alcune americanaggini che da tempo ormai (eh, eh, mi piace dire, ormai), infestano i dialoghi e gli stati d’animo spesso troppo fasulli delle varie fiction che sbarcano sul nostro mercato. Di cosa parlo? Te lo dico fra qualche riga. Una buona pratica che invece sta prendendo sempre più piede è quella di trovare attori molto somiglianti per interpretare il tale personaggio da bambino o da vecchio. Purtroppo non sempre la serie riesce a rendere il senso di smarrimento dei personaggi che si trovano in una situazione “impossibile”.

Cosa non mi è piaciuto

Allora, lo stavo dicendo sopra, qualche riga fa; nelle serie americane, i personaggi si colpevolizzano sempre troppo, al di là delle vere responsabilità. Sovente il protagonista o i protagonisti si sentono troppo responsabilizzati, tutto dipende da loro, è tutta colpa loro e tutti devono salvare il mondo, e meno male che di solito ci riescono. Ora non mi dilungo troppo su questo discorso anche se sarebbe interessante indagarne i motivi a livello sociale che secondo me ci sono. Altra cosa che non mi è piaciuta è che la serie arranca un po’ tra la seconda e la terza stagione, sembra quasi che non ci siano idee e che la sceneggiatura sia stata adattata nel tempo.

Cosa mi è piaciuto

L’idea mi è piaciuta moltissimo, è davvero intrigante, non che sia una novità beninteso ma lascia spazio a una vasta serie di probabilità. Cosa è successo all’aereo e a suoi occupanti? Rapiti dagli ufo? Dal governo? Un’altra dimensione? Se si continua a vedere la serie è perché si vuole una risposta alla domanda: Cosa è successo? Il finale mi è piaciuto, mi soddisfa e sicuramente, l’inizio e la fine sono buona parte del successo della serie. Naturalmente non ne parlerò ulteriormente per non spoilerare. Un’altra cosa che mi è piaciuta è il concetto dell’essere tutti collegati, il destino degli uni è parzialmente nelle mani degli altri. Nessuno può nulla da solo, si può perdere da soli ma per vincere occorre essere uniti.

Da consigliare se…

Ti piace il mistero e sei disposto ad accettare con pazienza gli sviluppi delle due stagioni centrali che possono risultare un po’ noiose anche perché non si capisce dove gli autori vogliono andare a parare.

Se vuoi vedere una serie che inizia e ha una fine, perché Manifest avrà mille difetti ma sicuramente non è un incompiuto anche se forse rischiava di esserlo.

nano, nano

Communion di Whitley Strieber

Il libro è stato presentato come una storia vera ma al di là del fatto che l’autore racconti o meno ciò che ha vissuto, secondo me vale la pena leggere Communion perché, il grigio che vedete rappresentato in copertina ancora non faceva parte dell’immaginario collettivo che si consolidò negli anni successivi e anche perché il racconto stesso, nel suo insieme, di lì a poco sarebbe diventato il fenomeno noto come abduction e sì stiamo parlando proprio di rapimenti alieni.

Communion

Communion è un libro del 1987 , scritto dallo scrittore fanta-horror americano, Whitley Strieber, edito da Rizzoli. Il libro racconta la presunta storia di abduction subita dall’autore stesso a partire da una visione avuta in piena notte nel proprio cottage di campagna. I presunti rapimenti alieni sarebbero stati reiterati nel corso degli anni all’insaputa della vittima fino appunto a quella notte in cui tutto è cambiato. Strieber è autore, tra gli altri, di “The Wolfen” del 1978 e “The Hunger” del 1981. Ha curato la sceneggiatura ed è stato il co-produttore dell’omonimo adattamento cinematografico di Communion con Christopher Walken. Suo è anche il soggetto di “Miriam si sveglia a mezzanotte”, di Tony Scott, con Catherine Deneuve, David Bowie e Susan Sarandon.

Whitley Strieber

Whitley Strieber nasce come autore horror passa prima a occuparsi di tematiche inerenti al pericolo di una guerra nucleare e al fantasy poi. Communion rappresenta un po’ l’apice della sua carriera e gli conferisce notevole notorietà. Successivamente scriverà ancora delle sue presunte vicende personali così come in Communion e storie horror, in particolare sui vampiri.

Abduction

Il termine abduction è ormai ampiamente sdoganato ma negli anni 80 non era così. A mio parere, il libro di Strieber ha contribuito a rendere noto al grande pubblico il fenomeno dei rapimenti alieni e l’aspetto del “grigio”, come riportato in copertina. Ma cosa sono le abduction? Ci sono molti casi, in tutto il mondo, di persone che riferiscono di aver visto degli U.F.O. attraversare i cieli notturni delle nostre città, montagne, campagne ecc. Ebbene, alcuni di questi spettatori riferiscono anche di aver avuto degli incontri con quelli che sarebbero gli occupanti di questi oggetti e in alcuni casi, sarebbero stati rapiti dai visitatori, un po’ come facciamo noi umani quando “rapiamo” degli animali per motivi scientifici come monitorare lo stato di salute in rapporto all’inquinamento, per esempio.

Una storia vera

In copertina, sotto al nome dell’autore, appare la scritta: “Una storia vera”. Io non mi esprimo sull’autenticità di tale affermazione perché per farlo, occorrerebbe effettuare ulteriori ricerche al fine di avere un quadro il più completo e oggettivo possibile. Mi limiterò a citare solo alcuni punti interessanti e meritevoli di attenzione.

Punto primo

Whitley Strieber afferma, con assoluta certezza, di aver raccontato solo ed esclusivamente la realtà di quanto vissuto in prima persona.

Punto secondo

Non mi risulta che esistano prove concrete e inequivocabili a sostegno delle affermazioni riguardo il punto primo.

Punto terzo

Whitley Strieber si è sottoposto a esami neurologici, psichiatrici e psicologici i quali confermano che l’autore era nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali e che quanto avvenuto non è stato il frutto della sua immaginazione.

Punto quarto

Whitley Strieber si è sottoposto al test della macchina della verità attestando di fatto che l’autore ha scritto ciò che egli riteneva vero.

Entrambi i test sono riportati in appendice al libro.

Cosa ne penso

Se quel che racconta Strieber sia la verità o meno, non lo so ma sembrerebbe essere in buona fede. Va anche detto che il libro ha rappresentato per lui un punto di svolta nella sua carriera ma al di là di tutto ciò a me il libro è piaciuto molto. Lo stile è efficace, il libro è scorrevole e riesce a ricreare atmosfere cupe e claustrofobiche. In taluni casi il senso di stupore lascia spazio al senso di smarrimento e impotenza perché il protagonista, oltre a non comprendere cosa accade è anche impossibilitato a reagire, non può nulla, è protagonista e spettatore di un dramma personale assolutamente imprevedibile.

Il libro credo che ormai si trovi solo come usato ma se vi piace il genere potrebbe valerne la pena.

È solo un gioco

È appena uscito il mio nuovo libro “È solo un gioco”, edito da Nonsolopoesie Edizioni. È il secondo che pubblico con una casa editrice e questa soddisfazione mi ripaga del tempo impegnato a scrivere, riscrivere, correggere, ecc. Spero possa essere di vostro gradimento. Il libro è acquistabile su Amazon e altri store online oppure lo potete ordinare direttamente in libreria.

È Solo un Gioco

“È solo un gioco”, perché forse è la vita stessa a essere “solo” un gioco. Le prime poesie appartenenti a questa collezione rappresentano la possibilità di entrare in contatto con le impressioni vibranti nel mondo circostante al poeta. Successivamente, l’autore diviene un mezzo per permettere al lettore di vedere le brutture della nostra moderna società, sapendo che ciò è una tappa obbligata se si vuole tornare a vedere la bellezza nel mondo. Nella terza fase, si ricercano stati interiori volti a immaginare un futuro migliore. In realtà é un ritorno all’ottimismo, non come difesa psicologica ma, come assunzione di responsabilità verso le generazioni future e verso la parte migliore di noi stessi.

Hai mai pensato di scrivere?

Foto di Leopictures da Pixabay

Ti piace leggere? O forse sei un vero e proprio appassionato? Un “lettore forte”, come si direbbe, uno di quelli che leggono 15/20 libri all’anno. Hai mai pensato di scrivere? Se hai pensato di scrivere ma hai qualche dubbio, continua a leggere perché si può fare ma devi tenere a mente alcune cose.

Leggere e studiare

Che leggere sia una cosa importantissima per scrivere mi sembra fin troppo evidente ma ciò che potrebbe non essere ben chiaro è il fatto che, a qualsiasi livello ti trovi, avrai bisogno di prepararti. Devi leggere e studiare, continuamente. Le ragioni sono molteplici. Partiamo dal fatto che devi sapere come si scrivere un romanzo ma anche questioni più pratiche come l’uso di un programma di scrittura come word, il font più adatto, l’interlinea ecc. Potresti inoltre avere la necessita di doverti documentare su un evento storico, su come funziona un razzo, sulle leggi di un altro paese, su di una malattia o su qualsiasi altra cosa tu non conosca e credimi, ce ne sono di cose che non conosci e anche dopo aver scritto decine di libri, esserti documentato su mille cose, dovrai continuare a studiare, non è fantastico? Ah poi non dobbiamo sottovalutare altre cose, del tipo, come presentarsi a un editore, come usare internet e i social, come interagire con altri autori in una possibile collaborazione, con i lettori e gli addetti all’informazione. Come vedi si tratta di un mare di cose che ampliano notevolmente il raggio d’azione di uno scrittore, non trovi?

Avere un metodo

Un non addetto ai lavori, potrebbe pensare che scrivere significhi narrare le gesta di uno o più personaggi in modo lineare e cronologico ovvero, scrivo ciò che accade oggi, poi domani, dopodomani e via dicendo fino al completamento della storia. Anche io lo immaginavo in questo modo e naturalmente si può fare, ma in realtà non è quasi mai così. Io posso parlare della mia esperienza, ma penso che tutti gli scrittori usino un metodo, chi più, chi meno. Ma che significa utilizzare un metodo? Beh, sicuramente significa suddividere il processo di realizzazione di un libro in diversi step, curandoli separatamente per poi completare l’intera opera. Per esempio, se ho un’idea, la trascrivo con più dettagli possibile, questo è il primo step. Successivamente quando decido di realizzare l’idea che mi sono precedentemente annotato, la riprendo e a grandi ma molto grandi linee mi scrivo lo svolgimento dell’intera storia, chi è il protagonista o i protagonisti, quali sono le difficoltà che dovranno affrontare, quali soluzioni adotteranno ecc. secondo step. Dopo di che, suddivido la storia in diverse parti, dieci, venti o anche di più a seconda della storia. Questa per me è la scaletta, terzo step. Una volta pronta la scaletta di, mettiamo quindici punti, procedo allo sviluppo di ognuno e questo può essere il quarto step. Non voglio scrivere ora un manuale comunque una volta completati tutti i punti della scaletta ci saranno degli ulteriori approfondimenti nei dettagli, svariate revisioni e rielaborazioni che porteranno ad un lavoro completo dopo molti passaggi via via sempre più accurati e dettagliati. Ecco questo penso possa dare l’idea di cos’è un metodo che personalmente ritengo necessario alla realizzazione di un romanzo. È anche vero che una volta progettato, lo puoi modificare come ti pare, sei tu l’autore, ma in ogni caso, il tuo progetto sarà un’ottima traccia, in modo che tu non ti perda tra le mille cose che dovrai tenere a mente per giungere la dove nessuno e mai giunto prima. Sappi che esistono diversi libri che ti possono spiegare come realizzare una storia ma con un po’ di logica e buon senso, ognuno si può creare il proprio, personalizzandolo in base alle proprie necessità e caratteristiche. Logicamente nessuno ti vieta di partire da un metodo messo a punto da altri autori per poi modificarlo a tuo uso e consumo.

L’idea è la cosa più importante

Prima di iniziare a scrivere con un certo impegno, ero convinto che scrivere fosse una cosa veramente difficile da fare, perché, se era vero che avevo un mondo di idee, era altrettanto vero che occorrevano molte altre conoscenze come la padronanza della lingua italiana o la necessità di apprendere un metodo di lavoro efficace. Poi ho compreso alcune cose.

La prima è che se vuoi, puoi migliorare le tue conoscenze della lingua, sia studiando in un percorso ufficiale di studi come il liceo o l’università sia in proprio e il modo più semplice e diretto sai qual è? Non ci crederai ma è proprio leggere tanti bei libri.

La seconda è che il metodo lo puoi imparare o te lo puoi creare da te.

La terza è che l’idea non la puoi produrre a volontà ma viene da se, semplicemente. Eventualmente puoi tentare di creare delle condizioni che favoriscano l’affiorare di un’idea; è un po’ come coltivare un orto, non sei tu a far nascere e crescere i pomodori o la lattuga ma sei tu a piantare i semi e a prendertene cura e se le condizioni saranno quelle giuste e mantenute nel tempo, avrai le tue insalate. Quindi siccome l’idea non la puoi produrre tu, ne consegue che è la cosa più importante e quando arriva non bisogna farsela scappare. Perciò se hai tante idee beh, allora le devi sfruttare, per tutto il resto ci vuole costanza e duro lavoro.

Prima o poi dovrai completare il tuo libro, fai il meglio che puoi ma avrai sicuramente sempre da migliorare

Su questa cosa ho sempre avuto le idee abbastanza chiare perché ci sono solo due modi in cui puoi far finire una storia. Nel primo tu sai dall’inizio come andrà a finire ossia nell’idea iniziale è insito il finale. Lo sai già dall’inizio insomma. Nel secondo modo, non lo sai e te lo devi inventare dopo. Per me è come diceva Mike Bongiorno, è la prima che vale. Ma che tu lo sappia prima, o dopo, il libro deve finire e questo significa che lo rileggerai un’infinità di volte e troverai milioni di cose che vorrai cambiare ma devi fartene una ragione, ad un certo punto Big Ben deve dire stop e allora capirai che ci saranno grandi soddisfazioni perché hai concluso qualcosa che non avresti neanche immaginato di iniziare e se sarai stato attento e scrupoloso, a prescindere da quello che accadrà dopo, avrai fatto comunque un buon lavoro. Poi ti accorgerai di tutte le cose che potevi fare meglio e lo farai, scrivendo altre storie, migliorando il tuo stile, la tua tecnica, la padronanza della lingua, avrai migliorato le tue conoscenze su tutto ciò che ti circonda e su ciò che sei veramente così saprai che ogni fine è un nuovo inizio, sempre!

Da 0 a 100 anzi 1000

Foto di Pexels da Pixabay

Lo so, lo so, tutti dicono : “ho sempre scritto poesie”, ma è la verità, fino a quando, qualche hanno fa, non ho deciso di sbarazzarmi di tutte le vecchie poesie scritte negli anni. Come dici? Perché? Beh, ormai non mi rappresentavano più, così ho deciso di ricominciare facendo un lavoro un pò più strutturato e ho scritto circa 150 poesie, un centinaio delle quali uscirà a breve in una raccolta.

Una poesia al giorno

Mi piace scrivere poesie ma amo anche scrivere storie, così ho pensato che se fossi riuscito a scrive almeno una poesia al giorno sarebbe stato più facile per me alimentare sia la passione per le poesie che per i romanzi o racconti visto che mi sarebbe rimasto del tempo per scrivere altro. Onestamente non sempre ci riesco ma appena ho qualche minuto libero cerco di scrivere la mia poesia quotidiana; in alcuni giorni “produco” e in altri no, ma va bene ugualmente; sono soddisfatto di quante ne ho scritte semmai mi interessa migliorarne il contenuto, alzare l’asticella come si suol dire.

Mille poesie

Ne ho scritte più di cento (e fra poco vedranno la luce), quasi centocinquanta per l’esattezza e il mio obiettivo in questa vita sarebbe scriverne (e magari pubblicarne anche) almeno mille. Certo è abbastanza azzardato ma con un pò di perseveranza, potrei anche farcela. Al di là del fatto che io riesca o meno a raggiungere l’obiettivo, scrivere poesie tutti i giorni è un ottimo esercizio che fa bene alla mente e al cuore.

Anche una va bene

Che siano cento o mille, l’importante è che siano sentite, che in qualche modo ci sia un pezzo di noi, perché anche se non parliamo di noi stessi o delle nostre emozioni, comunque ciò che riportiamo, giusto o sbagliato, bello o brutto, intelligente o stupido, passa attraverso il filtro della nostra anima che fa esperienza nell’osservare, valutare e sentire. Per questo, anche una va bene.

Scrivere per se stessi

Scrivere per gli altri? Sì certo, va bene ma anche scrivere per se stessi va bene. Non c’è una regola fissa, ognuno deve trovare le proprie motivazioni. Personalmente io ho cominciato a scrivere per “osservare” le mie emozioni, i miei stati d’animo e così capire meglio me stesso. Per anni ho scritto per me stesso e moltissime cose di quanto ho scritto, non le ha lette nessuno, solo di recente ho deciso di pubblicare ciò che scrivo. Tutto ciò è terapeutico? Certo che sì ma io direi di più, è un percorso di costruzione del proprio essere.

Bene, per oggi è tutto

nano, nano

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