
E sì, è proprio così, Gabriele Mainetti colpisce ancora; dopo “Lo chiamavano Jeeg Robot” e “Freaks out”, Gabriele Mainetti esce nelle sale con il suo nuovo film: La Città Proibita.
Bruce Lee e le arti marziali
Il film di Mainetti è un omaggio nei confronti del cinema di Hong Kong, alle arti marziali e a Bruce Lee stesso, ed è proprio a Roma che è stato girato uno dei film più belli del “piccolo drago”, con il mitico duello tra il karateka americano Chuck Norris e il figlio del dragone cinese, Bruce Lee. Ai tempi, prima di Bruce Lee, i combattimenti nei film di arti marziali, duravano un’eternità. A noi ragazzini pareva una figata ma poi quando ci soffermavamo a pensarci un po’ meglio, ci si chiedeva: come fanno a prendere tutti quei pugni e stare ancora in piedi a picchiare il proprio avversario, dopo tutto quel tempo e dopo tutte quelle botte. Insomma quella roba da botte da orbi ad un certo punto non reggeva più e il giovane Bruce se ne accorse. Così lavorò su combattimenti più realistici, che duravano di meno, perché se prendi dei colpi mortali da un esperto di arti marziali, poi non ti rialzi e continui a lottare. Questo “realismo”, nelle scene di combattimento di Bruce Lee, secondo me, ne decretarono il successo e devono essere piaciuti molto a Gabriele Mainetti.
Una storia non impeccabile
La storia tutto sommato non è male ma certamente non impeccabile. L’idea di base è che nel periodo in cui in Cina era in vigore la legge per la riduzione delle nascite, che impediva alle famiglie cinesi di avere più di un figlio, i genitori di Mei, la protagonista, decisero di dare al mondo una seconda bambina e sarebbero riusciti a nasconderla fino all’età adulta, ed è proprio per cercare la sorella, che aveva lasciato la Cina, che Mei decide di venire in Italia ma non mi sembra credibile perché in questo caso come avrebbe potuto avere una sua identità? Okay, il problema non è gravissimo ma durante la proiezione non potevo fare a meno di pensarci. Altra cosa poco convincente e stato ad esempio, il giro in scooter che i due protagonisti, Marcello e Mei, si fanno in centro a Roma, il tutto dopo drammatici accadimenti, beh in quel modo, stona un po’. Mi è sembrato un omaggio ad alcuni film degli anno ’50 o ’60, come, “La dolce vita”, di Fellini o “Vacanze romane”, di William Wyler, inserito un po’ forzosamente.
Tre cose che non mi sono piaciute
Hei, lo dico e lo ripeto, il film mi è piaciuto molto ma ci sono tre cose che non ho apprezzato completamente, la prima l’ho già detta e riguarda la storia, per me, non impeccabile; la seconda invece riguarda il protagonista maschile, Marcello (Enrico Borello) che è bravissimo ma quando è coinvolto in alcune scene di lotta, le parole che dice, o per meglio dire, le grida, non mi hanno convincono. Si capisce che il film è stato doppiato in italiano e questo mi piace ma ha anche prodotto qualche sbavatura, probabilmente a causa del doppiaggio che esclude il movimento fisico originale o, per spiegarmi meglio, far parlare e gridare una persona mentre corre, lotta e si muove è più realistico che farlo parlare e gridare da fermo. La terza cosa che non mi è piaciuta riguarda invece la protagonista femminile, Mei (Yaxi Liu) che è eccezionale dal punto di vista della credibilità come personaggio d’azione ma recita pochino.
L’erede di Sergio Leone e Dario Argento
Ma le pecche di cui parlavo poc’anzi sono molto poco influenti, infatti il film è bello e godibile in tutta la sua durata, perché ciò che c’è di buono supera di gran lunga gli aspetti critici del lavoro di Mainetti. Io non sono un esperto, parlo di ciò che mi piace o meno ma il film che ho visto è molto ben fatto, mi piace come sono state costruite le scene, il montaggio delle stesse, le inquadrature e se lo scopo è innanzitutto quello di divertire beh, ci riesce alla grande. Le scene di combattimento non sono inferiori a film più famosi, insomma, dal punto di vista tecnico non fa una piega. Non manca un velo d’ironia che sconfina a volte nel grottesco. Gabriele Mainetti riesce inoltre a condire perfettamente oriente e romanità; se “La città proibita” fosse un buon pranzo, penso che sarebbe una “carbonara” come primo e un “pollo alla pechinese”, per secondo. E poi, quello che a me piace davvero tanto di questo regista e che si “permette” di fare film che in Italia solitamente non si fanno, film che vediamo arrivare dall’estero, dal mondo anglosassone ma io personalmente, sono convinto che il genio e la fantasia italiani darebbero tranquillamente del filo da torcere a inglesi e americani come ha ben dimostrato lo stesso Mainetti con, “Lo chiamavano Jeeg Robot”, uno dei migliori film nel suo genere. Sono certo che fra vent’anni, giorno più o giorno meno, Gabriele Mainetti, se continuerà su questa strada, sarà considerato alla stregua di registi come Sergio Leone e Dario Argento. Un’altra nota positiva riguarda il grande Marco Giallini che nel film interpreta Annibale, socio della famiglia di Marcello nel ristorante di famiglia e piccolo gangster locale. Anche in questo caso, Giallini da il meglio di sé, non una scoperta ma l’ennesima conferma delle sue grandi capacità e versatilità; nel film, per me, il migliore. Tra gli altri hanno partecipato anche Sabrina Ferilli e Luca Zingaretti.
Insomma se vuoi goderti del buon cinema d’azione, che sia divertente e parli anche di buoni sentimenti, “La Città Proibita” di Gabriele Mainetti, potrebbe fare al caso tuo.
Se poi, vuoi anche leggere o regalare dei libri originali, ti accontento subito:
Il Bambino e l’Asinello Volante e Altre Storie
Paride Royl e la Lanterna dei Sogni Perduti
Alla prossima